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Autore

Alessandro Squilloni

Alessandro Squilloni, magnifico fotografo della creatività, causa tra cuore e mente e spirito, nella ricerca dell’immagine che offre differenti modi di vita, presenti nel sogno, in un silente entusiasmo e un desiderio di bellezza e apertura alla vita. Egli annota un mondo particolare, dove passa avventuriero del reale. Le sue immagini sono, spesso, anomale; vivono all’interno di una linea di demarcazione tra l’interiore e l’informale, dove il contenuto emerge come ciò che riusciamo a sentire, piuttosto che a vedere. La valenza artistica di Alessandro spazia in una pluralità di modi tutti ugualmente riconducibili agli infiniti suoi mondi interiori, ma è nella ricerca sul segno condotta in fotografia che affondano le radici della sua poetica. Segno indagato con partecipazione mentale, ma frutto sempre di un processo interiore emozionale; segno “colto”, nel senso che alla cultura visiva viene attinto e rimanda il dato iniziale, un volto/epifania, una situazione affiorante come apparizione spettrale; ma segno istintivo, la dissoluzione della forma in una esplosione di luce e colore che verifica e conclude il percorso visivo dell’artista. Affiora, attraverso il colore, “l’immaginario che sempre precede la tecnica”, un’attenzione a voci la cui vibrazione è impercettibile, reminiscenze di sensazioni musicali, ottiche, flash-back della memoria, le ninfee di Giverny come nebulose spaziali. Alessandro è entrato nel mondo della fotografia già sedotto dalla ricerca che ha condotto secondo le proprie capacità. Ha sempre creduto che il naturalismo può non essere naturale, che il realismo non è per forza reale e che il vero è, facilmente, verosimile. La legge dell’autenticità non proibisce nulla e non è mai soddisfatta: non crede che si debbano trascrivere immagini, ma si aspetta che esse vengano trovate in uno sviluppo libero e intenso. E’ come un’immagine che, forse, non è ancora immagine, un linguaggio che rimonta verso se stesso. Le immagini, però, la cui texture apparentemente aerea è sostenuta da un impianto formalmente rigoroso, più che dipingere il mondo sognante del suo subconscio, evocano piuttosto emozioni e sensazioni ad esso connesse, cifra propria dell’espressionismo astratto americano, ed infatti alla cultura americana attingono le visioni ed approda l’itinerario artistico di Squilloni. Nel volume “God Bless America” si assiste, infatti, ad un viaggio “dentro” l’America, quella della storia come quella delle istituzioni, dei suoi simboli come dei suoi miti: sedimenti nell’inconscio in un lungo processo di deposito, emergono e vengono catturati prima che si dissolvano nomi, luoghi, volti, ferme fisionomie tratte dall’iconografia tradizionale; spesso la didascalia accompagna l’opera, affabulazione lirica che ne esalta una poeticità latente. L’operazione concettuale, resa possibile anche da un uso personalissimo della tecnica, è quanto mai severa: l’immagine viene cancellata, smentita, trasformata in altra dimensione: lo slittamento semantico ne fa, da sedimento di storia, la registrazione di un oblio. La tensione vitale che si instaura tra i segni, il confondersi magmatico degli spazi, di tipo informale, o a volte l’affiorare dei vari piani prospettici, ascrivibile ad una formulazione più vicina all’astrattismo, creano immagini di rara intensità ed eleganza formale, leggibili con uno sforzo di concentrazione che verrà ripagato da una sensazione di profonda bellezza. Forte e profonda la collaborazione artistica con l’ami­ca di vita e compagna di percorso, Gianna Ciao Pointer, prolungamento naturale della sua interiorità. Significativo, nel corso del tempo, il ricevimento di lettere personali del Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, che parla di pace nel mondo, di Bill Clinton e Fidel Castro che, insieme, nello stesso volume, danno un loro contributo personale riflettendo sul senso reale della vita. Appassionato cosmonauta virtuale, cercatore di nuovi universi, riconosce essere nell’utopia l’ultima frontiera della libertà personale. La metafora del “viaggio” segna un punto di non-ritorno. L’utopia, la pace, l’amore, sempre presenti nei suoi sogni, assumono la continuazione ideale e necessaria del suo percorso. Nel 1994 ha presentato, con una mostra, il libro “Fiori Recisi Fiori da Vendere” nella prestigiosa cornice della Galleria “Il Diaframma” a Milano. Molte le mostre sia in Italia sia all’estero, spesso in gallerie e luoghi culturali-storici importanti. Si sono interessate alle sue opere le più importanti testate giornalistiche di fotografia. La rivista “Forum Hasselblad”, svedese, ha pubblicato le sue immagini e, nello stesso tempo, l’autore è stato selezionato, insieme ad altri artisti internazionali, per una proiezione in multi visione itinerante in tutto il mondo. La raccolta fotografica “H24” è un esperimento a cui Squilloni si accosta per la prima volta: in punta di piedi si fa spazio tra i corridoi e le camerate dell’Ospedale psichiatrico di Volterra, oggi più che mai carico di vividi ricordi attaccati alle pareti come edera, penetrati nell’anima di chi è vissuto da folle tra i folli. Osservatore attento della “non diversità”, l’artista si veste dei panni di internati, rendendosi partecipe di ogni esperienza, di ogni emozione. Sul filo del rasoio, pazzia e realtà fuse in un’entità unica: tutti siamo folli nella nostra normalità, la diversità è artefice dell’essenza di ciascuno di noi. Tra il bianco e nero, la pressione psicologica, attraverso un climax ascendente, genera un’esplosione di domande, sedate dalla costante conquista di un universo alienato da tutto. Ad un certo punto della vita dell’artista la patafisica diventa l’incontrastata scienza che fa da padrona nel successivo volume, “Inside”, dove ogni tentativo di pregiudizio crolla: l’essenziale è mettersi sempre in discussione, generando punti interrogativi e distruggendo la visione univoca delle cose, viste da innumerevoli punti di osservazione differenti, idee ed associazioni fotografiche nude, prive di ogni pregiudizio. Non a caso, anche nell’opera fotografica seguente “Short stories”, qualsiasi forma di percezione condizionata dalla realtà, così come appare agli occhi dell’osservatore, si schiaccia sotto il grido di ribellione dei giovani che vivono l’underground delle città del mondo, cercando una rivalsa su tutti i filtri ed i preconcetti che fanno più male di qualsiasi inchiostro inciso sulla pelle di cui sono vestiti. Figlio della Toscana, toccato dalla Provenza, si presenta quale personaggio estremamente commovente con tante liriche strade nei suoi occhi, tra epoche discoste, di cui riconosce le difficoltà di iniettarle in un’altra. Vive la sua essenza di uomo e di artista con molta riservatezza, le sue fotografie sono tra le rare che si situano fuori dal tempo.

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